Kintsugi: cosa ci insegna l’arte giapponese di riparare con l’oro

Kintsugi: cosa ci insegna l’arte giapponese di riparare con l’oro

La filosofia orientale ha tanto da insegnare, con le sue radici antiche e il suo focus su tutto ciò che è spirituale e simbolico. In questo senso, la tecnica giapponese di riparazione del vasellame chiamata kintsugi diventa un approccio alla vita di cui fare tesoro.

Vediamo di cosa si tratta e quali spunti di miglioramento personale possiamo trarne!

Cos’è il kintsugi e come si pratica

Il kintsugi o kintsukuroi, tradotto letteralmente, è “la pratica di riparare con l’oro”. Si tratta, infatti, di una tecnica di fai-da-te molto antica, utilizzata prevalentemente con gli oggetti di ceramica, tanto cari alla tradizione giapponese.

Basti pensare alle ciotole utilizzate nella tradizionale cerimonia del tè, che ogni famiglia conserva gelosamente e tratta con cura. Se uno dei pezzi del servizio da  dovesse cadere e rompersi, la mentalità giapponese non pensa a gettarlo e sostituirlo, com’è tipico di una certa cultura occidentale consumista.

Al contrario, ciò che è rotto può essere recuperato e reso ancora più bello, prezioso e unico di prima, grazie all’uso di speciali colle e lacche a base di materiali preziosi, quali oro e argento.

Le fenditure e spaccature tra i vari pezzi di ceramica, ricomposti, diventano venature dorate, un reticolo brillante che irradia luce e bellezza.

Come dire che imperfezioni e cicatrici non vanno coperte o nascoste, al contrario: vengono messe in evidenza, sottolineate.

Non siamo “rotti”, siamo solo in continua trasformazione

Proprio per questo il kintsugi è considerato la perfetta metafora del concetto di resilienza, di cui abbiamo parlato di recente.

In senso astratto, quella tazzina da tè siamo noi, con le nostre ferite, i nostri vuoti, le spaccature del corpo e dell’anima che la vita ci lascia addosso, giorno dopo giorno.

Ma questi elementi, sebbene possano sembrare negativi a un primo sguardo, sono in realtà ciò che ci rende noi stessi. Siamo la sintesi delle nostre esperienze, positive e negative.

Non siamo le nostre cicatrici, ma le nostre cicatrici contribuiscono a definire chi siamo.

E ci rendono migliori, se sappiano “aggiustarci” e “ripararci” con positività e autoconsapevolezza (con l’oro, in un certo senso), allora ne usciremo cambiati, più forti, unici e irripetibili rispetto a tutti gli altri.

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